Come ogni anno, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, sono tante le iniziative: manifestazioni, mostre, cortei, sit-in, convegni e installazioni per ricordare le vittime e per sensibilizzare su quella che è diventata una vera e propria piaga sociale.
Come sono impegnate le Consigliere di Parità?
Sia con azioni di sensibilizzazione sia di prevenzione, ma insieme ad altre Istituzioni anche con azioni concrete che possano aiutare le donne ad uscire dalla spirale che le avvolge e soffoca.
A Messina, ad esempio nell’ambito del Protocollo Interistituzionale promosso alcuni fa dalla Prefettura di Messina, con il mio Ufficio e unitamente al Centro per l’Impiego abbiamo avviato come progetto pilota uno sportello donna per favorire l’inserimento lavorativo anche attraverso percorsi formativi dedicato alle donne vittime di violenza e, devo dire, ha dato buoni risultati.
Il fenomeno della violenza: tante facce della stessa medaglia!
Certamente, penso anche alle molestie e violenze nei luoghi di lavoro, ricatti, soprusi,stalking e tutto ciò rappresenta anche un concreto fattore di rischio per la salute e la sicurezza degli individui. Perchè la violenza ha effetti negativi a breve e a lungo termine, sulla salute fisica e mentale con conseguenze che possono determinare isolamento, incapacità di lavorare, limitata capacità di prendersi cura anche di se stessi.
Ci sono, comunque, tanti modi di usare violenza contro una donna.
Si, ad esempio, si può abusare sessualmente, si può schiaffeggiare oppure zittirla di continuo e quindi mortificarla distruggendone gradualmente l’autostima oppure le si può togliere qualunque autonomia economica e renderla succube del proprio uomo nelle scelte più banali della vita quotidiana oppure discriminandola ogni giorno, ricattandola sul luogo di lavoro e screditandola per il sol fatto di essere bella e ricoprire un ruolo di potere.
Alla base ci sono relazioni “malate”.
Partendo dal lato oscuro di alcuni rapporti che inizialmente possono apparire idilliaci, mentre poi la relazione si trasforma fino a diventare – appunto – una relazione “malata”. Quindi è importante decifrare e riconoscere, sin dai primi sintomi, le distorsioni di relazioni asimmetriche che sfociano in qualcosa di diverso da quello che dovrebbero essere. Meno donne maltrattate in famiglia significa più donne serene e produttive nei luoghi di lavoro e risparmi per cure mediche, servizi giudiziari, sanitari, sociali e legali, a vantaggio di tutta la comunità, maschile e femminile.
Possiamo dire che oggi viene giornalisticamente definito “femminicidio” non è più da tempo “un’emergenza” ma un problema strutturale legato a un’atavica cultura “maschile”?
Sicuramente la violenza maschile contro le donne è espressione di dinamiche complesse, ascrivibili alla struttura delle relazioni tra i sessi e rivelatrici degli stereotipi e dei pregiudizi che ancora oggi influenzano l’immaginario collettivo sulla figura e il ruolo di uomini e donne, sulle loro presunte attitudini, sui modelli di relazione, di sessualità e di famiglia. Per millenni è stato difficile distinguere l’amore dalla violenza: le donne si sono “adattate” a subire violenza all’interno della coppia oppure hanno confuso il loro piacere col piacere dell’altro o hanno accettato come “naturale” la divisione dei ruoli finendo per accreditare il primato maschile. Gli uomini si sono autolegittimati come protagonisti della storia, depositari del linguaggio, del pensiero, dei poteri decisionali nella vita pubblica e privata, confinando la donna nel ruolo di madre, custode della famiglia e della sfera privata. L’evoluzione storico sociale del ruolo della donna si fonda anche sul passaggio di “competenze” dal contesto familiare a quello lavorativo; tale transizione deve essere vista come elemento di arricchimento nei luoghi di lavoro, dove il diverso approccio ai temi lavorativi in ottica anche di conciliazione con la vita familiare, aiuta a rendere più sostenibile la vita di tutti i lavoratori.
C’è poi il tema della violenza economica.
Si, meno conosciuta rispetto ad altre tipologie, rappresenta un fenomeno subdolo e nascosto che si può tradurre dal controllo delle spese quotidiane alla negazione di qualsiasi autonomia nella gestione delle risorse della famiglia, dall’invito a non lavorare a vere e proprie minacce o raggiri, approfittando della fiducia della compagna. La Banca d’Italia – ad esempio – è da tempo impegnata contro la violenza sulle donne, attraverso un progetto di educazione finanziaria, strumento di prevenzione della violenza domestica. “Non firmare se non hai capito” è uno dei primi consigli di educazione finanziaria.
Ma qual è il punto di vista maschile sulla violenza contro le donne?
Un altro aspetto da considerare è la scarsa consapevolezza delle radici culturali della violenza di genere e delle sue diverse sfaccettature quotidiane che spesso si basano su una concezione di superiorità maschile e su una cultura del controllo e della prevaricazione, spesso normalizzati ed è sul posto di lavoro che si verifica la maggiore discriminazione.
Infine, i media che hanno un ruolo fondamentale nel rappresentare tale fenomeno.
Sicuramente cosi come il corretto ruolo sociale dell’uomo e della donna, che passa anche tramite un corretto inquadramento nel mondo del lavoro oltre che nel rappresentare la violenza e per questo mi piace ricordare il Manifesto di Venezia del 2017, adottato dall’Ordine dei Giornalisti per una informazione attenta, corretta e consapevole del fenomeno e contro ogni forma di discriminazione attraverso le parole e le immagini.
Per informazioni, rivolgersi all’Ufficio della Consigliera di Parità della Città Metropolitana di Messina, Via Dogali 1/D, 3°piano del Centro per l’impiego.
Si riceve solo per appuntamento contattando:
Segreteria Ufficio della Consigliera di Parità, Dott.ssa Tania Cannameli, tel. 090/2984704,
mail: gaetana.cannameli@regione.sicilia.it;